Appropriazione Indebita denaro dei clienti

8 mesi di reclusione per l’avvocato di Montecatini accusato e condannato per il delitto di appropriazione indebita (ex art. 646 c.p., aggravato dall’art. 61, n. 11, c.p.) e falso in atti destinati al giudice tutelare, per essersi impossessato illegittimamente delle somme a lui affidate dai propri assistiti nell’ambito dello svolgimento del mandato affidatogli e per aver falsificato le loro firme nell’ambito di ulteriori giudizi.

La vicenda, che ha trovato la propria conclusione solo nel gennaio 2016, ha fortemente scosso l’opinione pubblica locale, per la posizione rivestita dal condannato, noto avvocato di Montecatini, salito agli onori della cronaca, oltre che per questo episodio di infedele patrocinio, anche per altre vicende, pure riguardanti parcelle piuttosto salate. Infatti, ferma restando l’assoluzione con formula piena, il legale sarebbe stato coinvolto anche in un altro procedimento penale, sempre per appropriazione indebita, per aver trattenuto delle somme provenienti da una transazione in una procedura fallimentare che sarebbero state destinate al proprio assistito.

La Corte ha comunque riconosciuto che gli importi erano effettivamente dovuti al legale a titolo di compenso per lo svolgimento di altri incarichi conferiti dal medesimo cliente, ma la questione sembra aver comunque tracciato un ulteriore macchia sulla già compromessa reputazione del professionista.

Ad ogni modo, tutto nasce dall’incontro tra l’Avv. C.R., il professionista de quo, e la Sig.ra G.B., avvenuto presso uno stabilimento balneare dove la seconda prestava servizio come bagnina.

A mano a mano che la frequentazione dell’avvocato diventava più assidua, il rapporto tra i due diventava sempre più amichevole fino a quando la B. decideva di raccontare al legale del recente lutto subito per la morte del marito, coinvolto, suo malgrado, in un gravissimo incidente stradale e di alcune vicende ereditarie che dalla vicenda erano scaturite.

Il legale coglieva l’occasione per offrirsi di aiutare la signora, suggerendole anzitutto di proporre un’azione civile volta ad ottenere l’integrale riparazione dei danni morali subiti, e ciò nonostante la compagnia assicurativa avesse già risarcito i danni morali e materiali in via stragiudiziale.

In un secondo momento, poi, la B. conferì mandato al R. anche per la gestione del patrimonio immobiliare ottenuto in eredità, incaricandolo della mediazione per l’estinzione di un mutuo stipulato per l’acquisto di un appartamento e della vendita sia di un immobile formalmente intestato ai figli della donna, sia di alcuni titoli di Stato pure riconducibili al figlio.

Ebbene, è proprio gestendo tali somme che l’avvocato ha perpetrato la sottrazione, dal momento che avrebbe trattenuto circa 10mila euro dai 40mila consegnati per l’estinzione del mutuo, 7.500 euro dai 15 mila ottenuti dalla vendita dell’immobile, e 90mila, restituiti solo in parte, per la vendita dei titoli di Stato.

La vicenda assume maggior disvalore laddove si consideri la già diffusa “cattiva reputazione” degli avvocati, spesso avvertiti  dai consociati come azzeccagarbugli manzoniani ai quali gli onorari vengono corrisposti senza che vi sia un’immediata contropartita da riscontrare.

Ecco allora che le dinamiche tra il professionista ed i suoi assistiti non di rado si rivelano conflittuali, anche in considerazione della disinformazione in merito alla sostanza del processo e delle sue vicissitudini, che conduce il cliente al sospetto circa l’effettività delle prestazioni pagate. È chiaro che, se a tanto si aggiunge, la malafede di alcuni professionisti di dubbia etica, ecco come l’intera categoria, composta anche da tecnici esperti e preparati, ne subisce le negative conseguenze.

Denuncia Avvocato Appropriazione Indebita

Ad ogni buon conto, tornando alla ricostruzione dei fatti, una volta scoperta la scomparsa delle somme, è proprio la Sig.ra B. a denunciare il proprio legale, rappresentando alle Autorità l’intera vicenda, partendo dall’incontro con l’uomo nel 2006, fino al conferimento degli incarichi ed alla consegna delle somme nell’anno successivo.

È a partire dalla querela, dunque, che i Carabinieri iniziano le indagini a carico del legale seguendo le movimentazioni del denaro della Baldini che questi azionava in suo conto e gli spostamenti che egli eseguiva facendo leva sulla procura all’incasso conferita dall’assistita.

Ne è emerso che le somme venivano direttamente versate sul conto corrente personale del R., il quale ne poteva disporre liberamente e, solo eventualmente, consegnarle alla cliente, cosa che comunque avveniva solo dopo averne trattenute una parte sul proprio conto.

Ulteriori dettagli, poi, sono emersi proprio dalle dichiarazioni della B. la quale, dopo aver raccontato dei rapporti amichevoli con l’avvocato e di come questi sia riuscito a catturare la propria fiducia, ha anche spiegato che costui si sarebbe offerto di aiutarla a titolo completamente gratuito, dichiarandosi disponibile a fornire il proprio contributo semplicemente in virtù del rapporto di amicizia costruito con la donna.

La rottura del rapporto fiduciario si sarebbe quindi determinata quando la donna, accorgendosi degli ammanchi, ne aveva chiesto la restituzione, considerata la discrepanza tra le somme pattuite e quelle concretamente consegnate.

Falsificazione della Firma del Cliente

Infine, dall’acquisizione degli atti depositati dal Rosellini dinnanzi al giudice tutelare, era emersa anche la falsa apposizione delle firme dei figli della Signora, quali proprietari dell’immobile di cui il legale era incaricato della vendita.

Rinvio a Giudizio, fino alla Cassazione

Tali dati sono stati sufficienti al Giudice per le indagini preliminari per disporre il rinvio a giudizio del professionista il quale, dopo aver visto tre gradi di giudizio, fino alla Cassazione, si è visto pure confermare la sentenza di condanna già emessa già emessa dal Giudice di prime cure, con una pena complessivamente determinata in otto mesi di reclusione, per il delitto di cui all’art. 646 c.p., aggravato ai sensi dell’ultimo comma, per aver abusato delle relazioni di prestazione d’opera, oltre al falso in atti depositati dinnanzi al Giudice Tutelare.

Tuttavia, alcune perplessità sorgono in merito alla qualificazione della condotta criminosa così come ricostruita, confermata sia dai giudici di merito che di legittimità.

In particolare, la presenza del reato di falso, pure contestato nel capo di imputazione, lascia sospettare la possibile configurazione del delitto di truffa, ex art. 640 c.p., giacché evidenti sono gli artifizi e raggiri posti in essere dal legale per sottrarre le somme che concretamente gli vengono consegnate dalla persona offesa, tra i quali peraltro si colloca proprio il falso de quo.

Sul punto, può essere utile analizzare le due fattispecie, e cioè quella di truffa di cui all’art. 640 c.p., e quella di appropriazione indebita, di cui all’art. 646 c.p., al fine di comprenderne il discrimen e verificare la sussumibilità della vicenda sopra analizzata.

La prima differenza, immediatamente percepibile già dalla lettura delle norme, è quella consistente nelle modalità di acquisizione del possesso.

Anzitutto, nel delitto ex art 646 c.p., il possesso è inizialmente legittimo, pur diventando reato quando il soggetto attivo ecceda i limiti del titolo in funzione del quale gli è stato attribuito.

Quanto invece alla truffa, ex art. 640 c.p., il possesso è illegittimo ab initio, in quanto il bene non sarebbe mai stato trasferito dalla persona offesa, se non per mezzo della erronea rappresentazione della realtà fornita dal soggetto attivo mediante artifizi o raggiri (Cass. n. 10397/1989). In ogni caso, per ambedue le fattispecie è necessario, quale elemento essenziale del reato, l’ingiustizia del profitto conseguito dall’agente.

Sul punto si consideri che il profitto per essere ingiusto non deve essere incerto e indeterminato nel suo ammontare preciso(Cass. n. 5081/1993), ben essendo invece possibile che una prestazione pure sia dovuta.

Ebbene, nella presente vicenda occorre comprendere quale rilevanza abbiano avuto le menzogne del legale rispetto alla consegna del denaro da parte della B. e dai terzi che abbiano a lui effettuato i pagamenti in favore della prima.

In favore della qualificazione della condotta come appropriazione indebita, depone la giurisprudenza di legittimità, dal momento che già da epoca risalente è consolidato l’orientamento per cui si qualifica ai sensi dell’art. 646 c.p. la condotta del mandatario che “trattenga definitivamente la somma ricavata dalla vendita invece di rimetterla al mandante” (Cass. n. 46586/2011).

Nello stesso senso depongono anche le circostanze che il mandato sia stato effettivamente sottoscritto dalla B., senza che sulla firma vi sia stato alcun maneggio, e che il legale abbia effettivamente posto in essere le mansioni che era stato incaricato di svolgere.

Truffa e Appropriazione indebita

Ciò nonostante, secondo alcuni la qualificazione più corretta sarebbe stata quella di truffa, ex art. 640 c.p., per la quale, peraltro, è prevista la stessa pena massima dell’appropriazione indebita (cioè 3 anni) seppur con un minimo edittale differente (infatti nell’appropriazione indebita non è prevista una pena minima, mentre nella truffa la pena minima è di sei mesi).

Sul punto, si consideri quale fosse l’iniziale proposito manifestato dal legale, già riferito dalla persona offesa dal reato, sia sentita a sommarie informazioni che nel corso del dibattimento: egli aveva dichiarato che il patrocinio sarebbe stato offerto a titolo completamente gratuito, sulla scorta del rapporto fiduciario e di amicizia intercorrente con la Baldini ed era pertanto con questa promessa che la donna si sarebbe a lui affidata.

Sul punto, si consideri che la giurisprudenza in materia di truffa chiarisce come l’artifizio abbia quale scopo proprio quello di indurre la persona offesa in errore rispetto alla situazione di fatto e, nel caso di specie, senz’altro ciò è accaduto, dal momento che non è controverso che sia stato lo stesso legale ad offrirsi di gestire la causa, e non anche la cliente a proporglielo, probabilmente proprio in considerazione della gratuità della prestazione.

Non solo. La falsificazione ha consentito all’agente di stipulare la vendita e di ottenere la consegna del denaro ad essa successiva, tanto più che il versamento è avvenuto direttamente sul suo conto corrente e non anche su quello della cliente. Anche tale circostanza assume dei connotati improbabili, giacché gli usi commerciali vogliono che i versamenti avvengano sui conti correnti dei clienti, certamente non direttamente su quelli dei loro legali.

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